1864. I soldati dell’Unione Americana (le
famose Giacche Blu o “lunghi coltelli”) attesero pazientemente che i guerrieri Cheyenne
andassero a caccia e lasciassero sguarnito il loro villaggio. Rimasero solo
vecchi, donne e bambini.
Furono massacrati.
Poi fu la volta dei guerrieri: con pochi
vecchi fucili (venduti dai commercianti bianchi senza scrupoli in cambio di
oro) frecce, lance e tomahawk (di pietra e legno) e inferiori di numero
poterono poco o nulla contro le colt, i winchester (con modelli sempre
migliori), gli Henry 44/40 (lunga gittata) o gli Harper (fucili da bisonti,
potentissimi da corta distanza) e infine le innovative Gatling (antesignane
delle moderne mitragliatrici cicliche a più canne). Chi non morì si piegò a
vivere come un emarginato in ristrette e poco ospitali “Riserve” (sostantivo di
dubbia e varia interpretazione).
Poi si impossessarono dei loro territori. E
delle loro risorse.
E, ieri come oggi, quando attraversano nuovi
territori con la loro apocalisse, lì vi si stabiliscono e non vanno più via.
Prima militarmente e poi con il potere economico.
Mi pare che, 150 anni dopo, la giovane politica
Americana, modello per i poteri mondiali, non sia cambiata. Non è più nel
territorio degli Americani. Non è nemmeno nel territorio Europeo. Ora è nel
territorio Arabo.
Ci sono armi differenti, più efficaci.
Eserciti più potenti.
Direte che non sono solo loro? Vero. Il
modello c’era prima di loro e lo usano anche altri, che magari non si ergono a
difensori mondiali della libertà (la loro) e della democrazia (…???).
Ma la sostanza, sempre ed in fondo, è fatta
di interesse economico e potere, due mostri con una fame insaziabile. Ma non di Nazioni, ma di persone. Quelle
nella stanza dei bottoni.
E il modus operandi oggi è la guerra, demone
da tutti ripudiato, a cui ci rivolgiamo con una facilità impressionante. Perché come per la Chiesa, il vero
problema non è la verità ma il potere.
Guerra di “liberazione degli oppressi” e per
la “democrazia”, guerra “preventiva”, guerra “in difesa della pace”, “guerra
preventiva”. (E magari fra i militari sono certo che più di qualche fesso, che
in ignoranza e buona fede, ci crede). Tutti ossimori. La guerra è guerra. E’
morte. E’ disperazione. E’ dolore. E’ per sempre per chi la subisce. Ma è anche
guadagno per chi la ipotizza e la architetta. E anche per chi la fa, molto
spesso. Quando una guerra finisce, basta guardare i conti in banca, quello
cresciuto di più è il conto di chi l’ha voluta, la guerra.
Non faccio demagogia. Non difendo un
dittatore o l’altro. Non difendo la violenza. Non difendo chi ha pensato di
chiudere l’energia di atomi in una bomba. O chi usa gas letali (e chi li ha
pensati, voluti, inventati, pagati e creati) o armi all’uranio arricchito.
Non difendo chi fabbrica queste armi. Né chi
le vende. Né chi le compra. Quindi, tantomeno chi le usa.
Dico solo che NON VOGLIO LA GUERRA.
Sia una scusa (per quanto motivata) o un
pretesto (per quanto oggettivo e primo di “fatti” antecedenti o scatenanti) o
una “bandiera” (come oggi quella della libertà e della pace, così lacerata e
lordata dalle cose che copre e nasconde) ieri come oggi sono sempre usati come
motivi per attuare, sempre con lo stesso stile, la conquista. Senza ma e senza
se. E magari con Premio Nobel per
la Pace in attivo…
E le altre “pulci” del vecchio mondo
“civilizzato”, che si adeguino. O stiano in parte.
Ma non condivido nemmeno le mire di conquista
Russe, che cerca uno sbocco nel mediterraneo e che continua a mal sopportare le
basi americane in Polonia ed in Turchia.
Mi sembra, più o meno, come un adolescente
con una mostruosa e mai risolta crisi di inferiorità verso il fratellone, più
giovane, ma più grosso.
E quindi, via, a star dietro ai modelli
stelle e strisce invece di ricostruire una nazione su principi nuovi, forti di
una storia di millenni. Inseguiamo il modello Americano, magari spinti dalla
Cina, e cominciamo a giocare con gli interessi. Come l’America, che fra un
Hamburgher e una Coca, mastica nazioni e vite. Stessi modelli (armi e potere
economico) e metodi simili (dove si riesce, guerra), ma, a volte, con l’errore
di mantenere la segretezza, nascondendo.
Mentre i più scafati coinquilini a stelle e
strisce, nascondono mostrando. Come si fa in una moderna cultura della
comunicazione di massa controllata. E magari contro dittatori e terroristi figli di un tubo catodico e
reali quanto Fonzie.
Non condivido l’effimero strapotere economico
della “famiglia” araba in cerca di un nuovo ordine, dove lo stato fastidioso di
Israele non trova spazio. E dove un certo “islamismo” comincia a dare fastidio.
E anche se in questa partita, temo, che gli USA “giochino” con i piedi in due
staffe.
E nemmeno di un’Europa, moderna e sciocchina come
Sancho Panza, fedele al fianco del potente ma così presa da discutere di ciò
che assicura un certo benessere a banche e potere, da non curarsi troppo di
cosa fa “l’American Guy”.
In che momento e con che accordo i “potenti”
mondiali hanno deciso che l’America dominerà il mondo? Che sia di nuovo una
questione di soldi, ergo di potere?
Che Bashad al-Assad sia un dittatore?
Forse. Anche se in un paese dove convivevano
pacificamente religioni ed etnie differenti faccio fatica a pensarlo.
Perché non lasciare ai Siriani la bega di
decidere e scegliere se starci o meno? Il popolo Siriano è accogliente,
tollerante. Fondato su una cultura che ha fatto la storia del mondo.
Sono propenso a trovarmi d’accordo con il
ragionamento espresso da Mentana in un post su FB che riporto per concetti:
Assad non è un politico (nel senso
tradizionale, di stirpe o studi) è un oftalmologo. Un medico degli occhi. Ha
fatto politica per i casi della vita (morte di suo padre e di suo fratello).
Magari non è scafato come un Mitterand o un
Bresnief o un Kissinger.
Ma usare SARIN (il Sarin lo fanno i Russi e
gli Americani, anche con componenti chimiche fatte in Italia) per gasare dei
bambini e delle donne è una puttanata così marchiana che nemmeno qualche nostro
“abile” uomo politico avrebbe saputo fare di meglio. E noi abbiamo dei campioni
MONDIALI in questo campo.
Nulla mi toglie dalla testa che sia solo un
pretesto. Una causa scatenante.
L’esecuzione di un bel ritratto. Il ritratto
del male.
Come Saddam Hussein o Bin Laden o Arafat o
Gheddafi o Mubarak.
Perché quando dai un volto al male, consegni
alla gente e all’opinione pubblica un “obiettivo”. E questo ti giustifica, crea
una motivazione, di da una sorta di delega di mandato implicito, ti fabbrica
degli alibi e permette, in una imperante e distorta logica, atti di una
nefandezza difficilmente pensabile.
Ti permette di fare i tuoi interessi, sporchi
o puliti (… quando ???) che siano. Ti permette di fare guerre. Di uccidere. Ma
anche di governare e rubare. Perché no?
Dove c’è una comunicazione distorta com’è
possibile capire dov’è il limite fra l’azione plausibile, giusta e meritevole
(fermo restando che la guerra tout court
non lo è MAI) e l’atto disonesto e criminale, dipinto (e mascherato) di
giustizia, legalità e “giusta motivazione”?
Insomma non condivido la Guerra. Quella di
oggi meno di quella di ieri.
Almeno ieri avevamo delle scuse: non evoluti,
trogloditi, spinti da istinti bestiali.
Oggi? Non le voglio elencare. Penso mi
farebbero più paura delle prime.
Non serve un attacco alieno o un meteorite.
Siamo noi a creare i nostri demoni. E solo
noi, uno per uno, possiamo ucciderli.
Scritto e rivisto con Mauro (maurofornaro.blogspot.com)... del Buon SILVIO e di mamma PD, parleremo a breve giro...
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