mercoledì 20 giugno 2012

Hic sunt Leones...


Il suono della sirena scandisce la fine dei primi due quarti, e con esso l’inizio dell’intervallo lungo.
Non guardo nessuno e parto dritto verso lo spogliatoio. Deciso. Senza dire nulla. So che i ragazzi mi seguiranno.
Entro. Cerco un posto più o meno centrale.  Mi siedo e aspetto.  In silenzio.
Entrano anche i miei giocatori. Prima alla chetichella, poi sempre più velocemente, magari anche interrompendo discussioni fra di loro.
Cose a cui non faccio il minimo caso. Ora.

Abbiamo giocato due quarti ributtanti. Con tutto il rispetto per gli anziani, se giochiamo così dovremmo andare a giocare il campionato ANFASS. Tipico, penso, quando incontriamo una squadra di gente triste, ci adeguiamo, invece di giocare. Forse sono le motivazioni che mancano. Vorrei incazzarmi. Ma non lo farò.

Faccio passare altri 10 secondi. Voglio almeno 5/6 secondi di silenzio assoluto.
C’è l’ho. Ora ascoltano.

"Pena. Facciamo pena. E al diavolo la teoria che con gli sfigati giochiamo male. Siamo giocatori di Basket, non puttane che non pagate, non ci mettono enfasi nella prestazione.
La questione penso sia un’altra.
Io vi alleno perché penso che, anche se qualche volta sembrate un po’ arrugginiti e acciaccati, siete dei grandi giocatori. In grado di far vedere un bel Basket. Di costruirlo, come un disegno fatto insieme. Di metterlo li, su quel parquet.

Ma, sapete?
Se ci credo solo io, conta poco o nulla. Se date ascolto alla parte indolente di voi, sarete indolenti.
In ritardo sulle difese, anche se mi attacca un “morto”.
In ritardo sui passaggi, con tiri buttati quasi a caso.
E in quest’altro disegno, continuate a dipingervi sempre più incapaci.

Perché capitemi, li dietro quella porta, oggi, in campo ci siete solo voi. Se giocate, li spacchiamo. Se non lo fate, perdiamo in maniera ignobile.
Ma non chiedete a me le Vostre motivazioni. Io ho le mie. E spero, anzi, so… Voi le vostre.
Se non fate leva su quelle. Se non decidete che tutte le partite vanno giocate al 100% se non metterete cuore e concentrazione in ogni tiro in ogni passaggio, in ogni sguardo ai compagni, stiamo perdendo tempo. Molliamo tutto e andiamo a mangiarci una pizza.


Se, invece…
sentite dentro… 
che siamo (ancora) una squadra,
sentite che ha senso stare qui e lottare su ogni pallone anche se di fronte non abbiamo un colosso, ma solo un avversario mediocre,
se riuscite a essere forti e umili, senza far finta di esserlo,
allora torniamo dentro e giochiamo insieme a Basket. Insieme.

Se diciamo Hic Sunt Leones… non miagoliamo come gattini bagnati."

Ci alziamo. Uniamo i pugni al cielo. Hic… sunt… LEONES!!!!!

La vera emozione di essere un allenatore?
Per me sta nella capacità di capire e leggere le situazioni, e, di conseguenza, di aver qualcosa (poco e preciso) da dire. Ma, alla fine e soprattutto, di riuscire a farmi ascoltare e capire.
E ogni tanto ci si riesce. Alla fine +28.

domenica 17 giugno 2012

the Soul of Basket


Arrotolo con cura il salva pelle, un giro solo perché costa un sacco.
Ho giù preparato le strisce di nastro, e sono pronto a procedere nel rito della fasciatura delle mie povere caviglie. Poche volte mi sono chiesto come si comporteranno domani, quando smetterò. 
Oggi devono tenere.  Quindi… sotto con la fasciatura.
I miei compagni stanno arrivando ora, ma io sono praticamente già pronto.

Per me è un rito. C’è una sorta di sacralità, per me, nell’entrare in campo. 
A luci ancora spente, senza spettatori, prima che la bolgia e l’adrenalina alterino le tue percezioni.
Ho bisogno di sentire l’attrito della mia mano sul pallone, lo stridio delle mie scarpe sul parquet, il rumore unico (e portatore di assuefazione e dipendenza) della retina che accoglie il pallone, rallentandolo un poco prima della caduta.
Muovo i primi passi, corro piano, la tensione pre partita se ne va, provo solo divertimento. E determinazione.

Un giocatore mitico e per sempre mio idolo, prima della partita, con il suo sorriso unico, diceva “showtime !!!” , anche se per lui (come per me) era importante mettere tutto nella “sfida” e poi…  se si poteva, se ci si riusciva…  vincere. Battendo prima se stessi e i propri limiti e poi gli altri, attraverso i loro limiti.  Voglio giocare così, con questo spirito.

Siamo tutti ormai, Jack, Gazzingher, Gigi, Leo, Tony, e gli altri.
Ci riscaldiamo in silenzio, lanciandoci sguardi di intesa, che parlano più di mille parole.

Agli ordini del “comandante” di questa ciurma, il ritmo si fa inteso, i movimenti sempre più forti e veloci, alziamo la precisione e con essa la determinazione.
Di la della linea di metà campo una brutta “gatta da pelare”: sono 10, ma tutti molto tosti e ruvidi in difesa. E poi ne hanno un paio a cui sarebbe meglio tagliare le mani, … che tiratori, ragazzi.
Ma queste sono le partite che io e i miei compagni vogliamo giocare.
Dentro o fuori. Loro o noi. Nessuna replica, ultimo spettacolo, ultima chance.

Palla due…. Si inzia. È nostra. Buon “segno”. Quando la scaramanzia è scienza. Sorrido e corro.

La partita vive i suoi momenti e come un mare è fatta a onde. Ora ti favorisce, ora ti sembra di essere in salita. I tecnici la chiamano “inerzia”. Tu che giochi da tempo la conosci bene. E sai che quando si fa fatica conta solo il semplice e l’essenziale. In attesa che la partita torni da te.
E se non lo fa, la vai a prendere. Invitandola.

Mi hanno messo un troglodita mastino a difendermi.
Questo buzzurro è duro come un sasso e picchia duro. 
Mi sta lontano. Sa che se me ne da l’occasione lo lascio li. A guardarmi mentre entro.
Siccome mi da spazio, lavoro per i compagni e, poco all’inizio, ma in un crescendo mi prendo i miei tiri. 
Non sono un fromboliere… ma i primi tre li ho messi. 
Infatti ora sento l’odore del suo sudore. Si è avvicinato, il mio mastino.
Aspetto che sia il mio turno. Il mio momento. Ce ne sono tanti in un match. 
Devi solo imparare a riconoscerli e ad affrontarli, con presenza, attenzione e responsabilità. Ma soprattutto, giocando.

Il coach chiama Timeout. Ne vuole parlare. Dice poche cose. Chiare. Semplici. Lo ammiro. E mi fido. “Ehi, ho bisogno che cominci ad entrare. Devono stare attenti a te. Ci sei?”
Gli sorrido,  e alzando il pollice del pugno sinistro chiuso, lo rassicuro. Girandogli le spalle, mi sistemo la maglia e torno nella bolgia.

Un secondo prima di cominciare, facciamo gruppo in campo. Un attimo. Ancora intesa e sguardi di approvazione e fiducia. Ora li spacchiamo.

Taglio. Da destra a sinistra… il mio difensore è un po’ stanco e reagisce un attimo dopo. Gambe alte. Tony vede. Ricevo. Finto subito un tiro per valutare la reazione.  Reagisce il mastino.
“sei ancora qui, eh?” penso.
E’ un attimo. Si distrae, a causa di jack che finta un blocco sul suo lato sinistro. Gira la testa e per resistere al contatto porta il suo peso sulla sua gamba destra. Ora sei mio!!
Mi abbasso come un felino che attacca e incrocio profondo a sinistra, lo passo… ma manca ancora per arrivare. Allora mentre palleggio cambio passo e affondo di nuovo il passo destro (l’ho visto fare a un giocatore russo, così arrivo diritto e in equilibrio sotto canestro) di nuovo palleggio e primo passo del terzo tempo ancora di sinistro, ma stringendo ancora la curva. Destro e vado su. Mentre salgo lo vedo arrivare per fermarmi.
In volo cambio mano e tiro la palla con la destra invece che con la sinistra, dove punta il mio avversario, passando dietro alle sue mani protese. La palla non tocca nulla se non la retina: mio premio è il rumore del “ciof”.

Atterro e recupero in difesa. Jack che corre all’indietro mi da un “highfive”.
“Bel numero… ma io l’avrei appoggiata al tabellone, magari era più sicuro, no?”
Ed io “E dove pensi abbia mirato?” Ridiamo. Pronti alla prossima azione.

Alle volte sognavo che le partite finissero solo quando tutti i giocatori erano esausti.  E non allo scadere del tempo. Quei momenti di intesa, di fatica, di scelte condivise e uguali, fatte insieme nello stesso momento, sono unici. 
Ti fanno sentire parte di qualcosa. 
Ti fanno sentire compreso, capito. 
Cose uniche, che poi ricerchi, anche in altri ambiti, nella partita che si chiama vita.  

sabato 16 giugno 2012

.. over 40.

E se un povero disgraziato ha la sfiga di perdere il lavoro dopo i 40?
Leggo e posto la lettera di Roberta. Dice tutto. E di più. E dalle istituzioni, un silenzio assordante.


Gentili Signori,
Sono una donna di 51 anni che vede il Vs. operato, e non mi permetterei mai di criticarlo negativamente, se non fosse che, per quanto riguarda il problema occupazionale, Voi fate sempre riferimento ai giovani. Dovreste tenere presente che , in Italia, c’è una fascia di persone che hanno superato i 40 anni e che, per cause non attribuibili a loro, si trovano senza un’occupazione ed oltretutto fanno fatica a reinserirsi nel mercato del lavoro. Tutto questo perché vengono considerati da tutti come “Merce da rottamare” dai titolari di aziende, dai sindacati, dalle istituzioni. Affermo tutto questo in quanto, mio malgrado, faccio parte anch’io di questa fascia di persone da quasi 6 anni; credetemi, non è facile cercare di andare avanti in modo sempre precario, senza sapere cosa ti aspetta il futuro, ed inoltre, anche quando si viene assunti da un’azienda per un periodo di tempo determinato, si è sempre visti come lavoratori di serie “B” dai titolari della stessa azienda, dai dirigenti, perfino dagli stessi impiegati.
Ma la cosa che fa più male è il costatare che, per quanto riguarda il problema dei disoccupati over-40 non viene quasi mai affrontato nemmeno dai mass media; a volte ci sono degli accenni (Di questo problema ho sentito parlare ben poche volte) ma vengono quasi subito smorzati, quasi come se questa realtà non si volesse vedere, o peggio ancora si facesse finta che non esista. Questo atteggiamento lo ritengo un modo molto spiccio per gettarci pesci in faccia e relegarci sempre di più ai margini della società, considerandoci così come “Rifiuti”. Sappiate che siamo anche noi degli esseri umani, e questo atteggiamento mentale, oltre che scorretto nei nostri confronti, è anche un modo molto discriminante per considerarci “Zavorra”, o per meglio dire “Rifiuti non più riciclabili”.
Deduco tutto ciò in quanto io stessa vivo questo problema in prima persona, ma anche perché noto che, quando si parla di disoccupazione, si fa sempre cenno ai giovani. Senza nulla togliere a loro in quanto sono il futuro del nostro Paese, dovreste anche affrontare il problema dei disoccupati over- 40; tenete presente che, un disoccupato che ha superato la quarantina d’anni, se non riesce a trovare lavoro, ha delle ripercussioni negative non soltanto su se stesso, ma anche verso i propri familiari. Io ad esempio, non sono sposata, vivo con i miei genitori ultraottantenni che non hanno più una salute ferrea, e quindi ci sono dei costi per quanto riguarda l’acquisto di medicinali, il mantenimento di una casa, le spese condominiali, le utenze. Come credete che mi senta io quando vedo che non posso contribuire al bilancio familiare in quanto non ho un lavoro? Tenete presente che il mio non è un caso a parte, come me vive altra gente, ma trovo assolutamente sconcertante ed oltremodo ingiusto il fatto di non essere nemmeno riconosciuti come esseri umani che cercano di far valere un diritto sacrosanto (ndr COSTITUZIONALE!!!!)! Tenete inoltre presente che, per una persona di 40-50 anni, il fatto di non essere di sostegno economico per i propri familiari, con l’andar del tempo e nonostante la forza di carattere, diventa deprimente e snervante vivere nella suddetta situazione. Dovreste inoltre essere informati che,in Italia, i disoccupati in età matura non sono un numero inferiore rispetto ai giovani; si tratta di 1 milione e mezzo circa di persone che, con la loro esperienza e la loro buona volontà, possono dare molto per ricostruire il mercato del lavoro se non fossero maltrattati, o meglio se non esistesse il preconcetto “Troppo giovani per la pensione ma troppo vecchi per lavorare”; questo modo di pensare è molto comune tra i titolari ed il personale delle aziende, e molto spesso non si rendono conto che, con questo preconcetto, si autoassolvono rimettendoci in minima parte loro, ed in massima parte i candidati che dovrebbero essere assunti ma che invece, causa età, vengono sistematicamente scartati. Faccio notare che, per quanto riguarda il fattore età, esiste il DLGS 216/03, che recepisce la direttiva europea 2000/78, che vieta ogni tipo di discriminazione per quanto riguarda l’età, sesso, culto, razza; questa legge, nonostante la sua esistenza, non viene quasi mai applicata dalle aziende, ma neanche dai centri per l’impiego o alcune volte neanche dalla amministrazione pubblica nei suoi concorsi.. Sono al corrente di quanto suddetto in quanto sono una simpatizzante dell’Associazione Lavoratori over-40 guidata dal Dott. Giuseppe Zaffarano, associazione che si occupa da 10 anni delle problematiche di chi ha perso il lavoro in età matura.
Tengo inoltre a precisarVi che una persona che perde il lavoro in età matura, ha dei problemi ben più grandi di una persona che ha 20-25 anni, che magari non lavora ma nonostante tutto può permettersi un tenore di vita agiato in quanto ha i genitori che lavorano e possono garantirgli il necessario per mantenersi fino a quando non sarà economicamente indipendente. Vi pregherei quindi, di intervenire prontamente su tale problematica di lavoro e di tener presente anche tutte quelle persone che hanno perso il lavoro in età non più giovane ma che sono ancora lontani dalla pensione. Anzi, a mio avviso dovreste fare delle leggi per favorire la flessibilità di rientro sul mercato del lavoro di questi individui. Inoltre dovreste far applicare il rispetto della DLGS 216/03 (Discriminazioni riguardanti i limiti di età, sesso, culto,razza) con un maggior rigore, in modo tale da facilitare ulteriormente il rientro degli over-40 nel mercato del lavoro. Certa che prenderete questa mia missiva non come un rimprovero ma come un consiglio, Vi porgo i miei più distinti saluti.

domenica 10 giugno 2012

Mathilda


Respiro piano.
Vedo, sento e ascolto. Non penso. 
Sento il vento su di me.
Stanno finendo di preparare. Manca poco.
Sarà puntuale. Lo è sempre.

Lei è qui di fianco a me.
Non l’ho cercata. Ma ora c’è.
Strano. Lei vede dentro di me.   
Il mio vero cuore. Non la mia maschera.
Non ciò che faccio.
La difenderò. Da quando l'ho fatta entrare non può essere altrimenti.
La mia è una battaglia persa.
Ma lei non morirà.

Il primo colpo parte veloce. Centro. Via uno. Sotto l’altro.
Come il primo.
Andiamo.

Lei mi apre finestre chiuse da secoli. 
Oggi Lei mi ridà "vita".
Quella che io tolgo agli altri e quella che, goccia dopo goccia,
quella che ho tolto a me stesso.

So che è l’inizio della fine.
Ma sono un giocatore. 
Gioco con le carte che il destino mi da.
Faccio del mio meglio.
Sarà una bella fine.

Per chi come me, nasconde il proprio cuore per tutta la sua vita,
non è facile farlo vedere.
Ma soprattutto. Farlo vedere significa morire.

Mi chiedo:
sapere che esiste chi ti ama incondizionatamente e conosce la vera forma del tuo cuore, è abbastanza per dedicare una vita?
Si. 
Mentre il buio scende su di me, so che è così.


And if I told you that I loved you
You'd maybe think there's something wrong
I'm not a man of too many faces
The mask I wear is one
Those who speak know nothing
And find out to their cost
Like those who curse their luck in too many places
And those who smile are lost. 
But that's not the shape of my heart
That's not the shape of my heart